Se scrivi una frase del genere, trasmetti l'impressione di essere prevenuto verso l'intera categoria, probabilmente a causa della tua esperienza negativa.Krugg ha scritto:il parlare complicato degli avvocati, è spesso un mezzo per comunicare ciò che si vuole solo a chi si vuole, e rendersi volutamente incomprensibili ai più, non esistono equivalenti in nessun altro ambito professionale, è un fatto non una congettura.
Il fatto oggettivo, però, è che non si può fare di tutta un'erba un fascio: come in tutte le professioni, ci sono persone oneste e disoneste, l'immagine dello squalo da telefilm americano è, per l'appunto, una rappresentazione mediatica che risulta davvero poco realistica.
Ti ripeto che la lettura quotidiana di cose scritte in modo tecnico porta ad esprimersi in quel modo quando si rende un parere su di una questione giuridica: ovvio che quando ci si deve rivolgere ai non addetti ai lavori bisogna cercare di semplificare al massimo, ma c'è che ci riesce bene e chi meno.
La veridicità dei fatti è una circostanza irrilevante per integrare il reato di diffamazione, ti riporto testualmente le norme:
c.p. art. 595. Diffamazione.
Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione, è punito [c.p. 598] con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 1.032 (1) (2).
Se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a euro 2.065 (3) (4).
Se l'offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico [c.c. 2699] (5), la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a euro 516 (6).
Se l'offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza o ad una autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate [c.p. 29, 64] (7) (8).
c.p. art. 596. Esclusione della prova liberatoria.
Il colpevole del delitto previsto dall'articolo precedente non è ammesso a provare, a sua discolpa, la verità o la notorietà del fatto attribuito alla persona offesa (1)(2).
Tuttavia, quando l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la persona offesa e l'offensore possono, d'accordo, prima che sia pronunciata sentenza irrevocabile [c.p.p. 648], deferire ad un giurì d'onore il giudizio sulla verità del fatto medesimo (3).
Quando l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la prova della verità del fatto medesimo è però sempre ammessa nel procedimento penale:
1. se la persona offesa è un pubblico ufficiale [c.p. 357] ed il fatto ad esso attribuito si riferisce all'esercizio delle sue funzioni (4);
2. se per il fatto attribuito alla persona offesa è tuttora aperto o si inizia contro di essa un procedimento penale;
3. se il querelante domanda formalmente che il giudizio si estenda ad accertare la verità o la falsità del fatto ad esso attribuito (5) (6).
Se la verità del fatto è provata o se per esso la persona, a cui il fatto è attribuito, è per esso (7) condannata dopo l'attribuzione del fatto medesimo, l'autore dell'imputazione non è punibile, salvo che i modi usati non rendano per se stessi applicabile la disposizione dell'articolo 595, primo comma[c.p. 596-bis] (8) (9).
Come vedi, il danno non è elemento integrativo del reato ed il rischio di finire sotto processo non è da escludersi, se dovesse mai essere presentata una denuncia-querela; diverso risulta il discorso relativo ad una causa civile che, come ho già scritto, presuppone l'esistenza di un danno e che sarebbe, pertanto, molto rischiosa da proporre (anche perchè bisognerebbe provare che quel danno è conseguenza immediata e diretta della condotta diffamatoria).